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Botanica e agronomia

Nella prima lezione abbiamo parlato di ecosistemi e di come essi siano formati dall’interazione che gli esseri viventi hanno con l’ambiente circostante. In particolare, il legame che essi hanno con tutta una serie di componenti prive di vita ma basilari nella definizione di quello che abbiamo chiamato biotopo.

Stiamo parlando dei corsi d’acqua, della luce solare, delle rocce, delle piogge, del terreno.

Insomma, di tutti i cosiddetti elementi abiotici dell’ecosistema.

 

Per conoscere le piante e capirne il funzionamento è fondamentale identificare il ruolo di queste componenti, prima fra tutte quella in cui le piante affondano le proprie radici: il terreno o suolo.

 

Terreno e suolo

Nel suolo, infatti, le piante si ancorano ed è qui che trovano la maggior parte dell’acqua e dei sali minerali di cui hanno bisogno per vivere.

Per capire di cosa stiamo parlando basta dare un colpo di vanga in giardino, avvicinarci ad un campo agricolo o passeggiare in un bosco. Ciò che chiamiamo “terra”, “terreno” o “suolo” non è sempre stato sul nostro pianeta ma è il risultato di un lento processo che si è protratto per centinaia di milioni di anni. Chi studia in dettaglio questa disciplina parla di pedogenesi (dal greco πέδον, «suolo» e γένεσις, «nascita»).

Nelle scorse lezioni abbiamo ripercorso la storia dell’universo e nel nostro calendario cosmico abbiamo sottolineato come verso la fine di settembre, quindi circa 3 miliardi di anni fa, la sfera di magma incandescente costituente il primordio del nostro pianeta ha iniziato a solidificarsi, almeno in superficie, creando uno strato di roccia nuda. Come siamo arrivati ad avere uno strato di terra fertile sulla quale si sia stabilita la vita vegetale e animale è la storia che racconteremo oggi. Per farlo ci serve una macchina del tempo.

 

La biocenosi

Quello che trasforma una distesa di roccia in un lussureggiante bosco è chiamata in ecologia una successione ecologica primaria. Occorre ogni qualvolta le biocenosi (ovvero le compontenti “vive” dell’ecosistema) colonizzano un ambiente nuovo che non ha mai ospitato forme di vita, proprio come nel caso della crosta terrestre appena raffreddata: una vasta landa desolata di nuda roccia. Senza dover tornare necessariamente sulla Terra di tre miliardi di anni fa, questo tipo di situazione si presenta ancora oggi quando siamo di fronte ad una nuova colata lavica che si raffredda o alle morene glaciali.

 

Le origini del terreno

Se siete mai stati alle pendici di un vulcano avrete avuto modo di osservare l’aspetto di una colata lavica raffreddata. È questo l’aspetto della superficie terrestre appena dopo la sua formazione. Mi capitò di vedere l’Etna in un bellissimo viaggio in Sicilia e il terzo vulcano più alto del Mondo, il Teide, a Tenerife. In entrambi i casi, ammirando lo straordinario paesaggio che li circonda, mi venne in mente un aggettivo: ‘lunare’.

Quelle distese di roccia, per quanto affascinanti, erano prive di ogni vita, almeno in apparenza. Ma d’altronde come avrebbero potuto esserci animali senza piante? E come le piante avrebbero potuto esistere su uno strato di roccia privo di un terreno dove affondare le radici?

Eppure, ad un’analisi più attenta anche in questi ambienti inospitali, è possibile osservare semplici forme di vita: licheni, muschi, rade piante erbacee. In alcuni punti, dove un po’ di sabbia si è accumulata, vediamo qualche timido fiore, anche qualche insetto. Per non parlare di tutta la vita a noi invisibile: alghe, batteri, funghi e organismi microscopici in genere.

Sono le prime fasi della successione ecologica primaria, ovvero l’avvento di una biocenosi (piante, animali, microrganismi, tutto ciò che è vivo) in un ecosistema che ne era privo.

Condizione necessaria per l’avanzamento di questo processo è la presenza di un suolo in cui piante (via via sempre più complesse) possano affondare le radici e svilupparsi. Sappiamo infatti dalla prima lezione che questo magnifico regno vegetale è alla base della catena alimentare e senza le piante non avremmo energia in ingresso all’ecosistema per nutrire gli erbivori e i carnivori.

 

Dalla Terra primordiale in poi

Abbiamo quindi capito perché la formazione di un suolo è di primaria importanza per l’ecosistema. Ritorniamo allora alla nostra Terra primordiale (o alla pendice del nostro vulcano), ricoperta da una crosta rocciosa di magma ormai raffreddato. È una roccia solida, compatta, arida e impermeabile, completamente inadatta ad ospitare qualsiasi pianta.

C’è però una serie di agenti che con pazienza millenaria lavora per tramutare la monolitica crosta terrestre (o meglio, la sua parte superficiale che chiamiamo roccia madre) in pezzi sempre più piccoli, fino ad arrivare ad ottenere una consistenza sabbiosa. Qualcosa, insomma, che possa avvicinarsi a ciò che definiamo terreno.

I processi che si preoccupano di spezzettare la roccia madre in parti sempre più fini sono diversi e sono sicuro che molti li avete già indovinati: l’erosione del vento sulle coste, l’effetto della pioggia battente, il ghiaccio che si espande in una fessura crepando una roccia. Siete sulla strada giusta.

Una prima famiglia di “agenti sminuzzatori” è quella che partecipa al processo di erosione. Questi agenti erosivi sono sempre fenomeni ‘in movimento’, ve ne cito qualcheduno:

  • Dilavamento: è l’erosione provocata dall’acqua, sia quando batte cadendo sottoforma di pioggia ma anche quando scorre sulla superficie della roccia (attenzione: dobbiamo tenere presente che consumare una roccia per erosione richiede migliaia di anni).
  • Erosione fluviale: viene esercitata dall’acqua che scorre sul letto (fondo) e sulle pareti del fiume
  • Erosione marina: ad opera del moto ondoso del mare contro le coste
  • Movimenti di massa: ad esempio frane e smottamenti
  • Erosione eolica: esercitata dal vento che trasporta piccole particelle scagliate a grande velocità sulle pareti rocciose.

Vi è poi una seconda famiglia che accomuna fenomeni in situ, quindi non in movimento. Possono avere una natura fisico-meccanica oppure chimica e ne sono esempi:

  • Termoclastismo: un termine complesso che indica l’azione di elevate escursioni termiche. Nei deserti ad esempio di passa dalle alte temperature diurne (che provocano un’espansione dei solidi rocciosi) al freddo notturno (che viceversa fa ridurre il volume della roccia). Questo “effetto molla” un poco alla volta crepa la roccia riducendola in frammenti più piccoli. L’esistenza di questo fenomeno giustifica i giunti di dilatazione sui ponti o nei binari ferroviari, dove vediamo spesso queste fessure create appunto per far sfogare espansioni e compressioni dei materiali di costruzioni legati all’andamento delle temperature.
  • Crioclastismo: è un altro termine complesso che indica semplicemente un ciclo di gelo-disgelo. Quando l’acqua penetra nella fessura di una roccia e si congela aumenta il proprio volume esercitando una pressione all’interno della crepa. Questa azione ha un effetto di pressione più importante di quello che potremmo immaginare e contribuisce all’indebolimento della roccia che con il manifestarsi ripetuto del fenomeno tenderà a spaccarsi.
  • Rilascio di pressione: pensiamo a quanto peso sopporta una roccia ricoperta dalla lingua di un ghiacciaio; si tratta di tonnellate di peso che esercitano una grande pressione su di essa. Quando nella stagione calda il ghiaccio si ritira questa pressione viene a mancare e la roccia può espandersi. Di nuovo, all’arrivo dell’inverno tornerà il ghiaccio e nuovamente peserà su di essa. L’alternanza di questo fenomeno genera anch’essa un ciclo di pressioni e decompressioni che indebolisce l’integrità della roccia portandola a rottura.
  • Alterazione chimica: sono fenomeni non di tipo meccanico come i precedenti ma di natura chimica e interessano reazioni che avvengono a livello dei minerali. Non voglio entrare nel dettaglio ma pensate solo ad una roccia calcarea su cui inizia a piovere: è lecito pensare che col tempo l’acqua si mangi via, nel suo scorrere, buona parte del calcare presente, fessurando e indebolendo la struttura rocciosa.

Ve ne sono altri che chi vorrà approfondire troverà ben illustrati sul web o meglio in qualche libro che tratti in maniera seria l’argomento. Lasciatemi però citare una terza classe di agenti che ho voluto distinguere: gli esseri viventi.

Anche gli organismi animali e vegetali alterano la consistenza della roccia: in maniera sia meccanica (le radici di un albero che si incuneano e crescono nella crepa di una roccia) che chimica (ad esempio mediante composti acidi prodotti da piante e animali che hanno spesso un effetto ‘corrosivo’ sui minerali rocciosi).

 

Tutti i fenomeni fin qui illustrati è bene specificare che lavorano su tempi lunghissimi: per ridurre un masso in sabbia occorrono migliaia (se non milioni) di anni. Altra cosa che voglio sottolineare è che questi agenti lavorano spesso in parallelo e che una roccia può essere ‘aggredita’ simultaneamente da più fenomeni disgregativi ed erosivi. Quel che ci importa è l’aver compreso come da una lastra di roccia otteniamo un terreno fine. Ovviamente le caratteristiche del terreno dipendono fortemente dal tipo di roccia dal quale esso trae origine (ad esempio, terreni originatisi da rocce calcaree tenderanno ad essere alcalini).

Ma è davvero solo questo il terreno? Un mero miscuglio di piccolissimi granelli di roccia?

Assolutamente no. La componente ‘minerale’ del terreno (quella che abbiamo capito essere derivata dallo sminuzzamento della roccia madre) è solo una delle due protagoniste del suolo.

Esiste una seconda componente che è chiamata sostanza organica. Setacciando qualche vangata di terreno potremmo scorgere foglie morte, insetti, funghi, per non parlare di tutta una serie di organismi invisibili ad occhio nudo. Tutto ciò che nel terreno è vivo (un lombrico) o lo è stato (un rametto secco) costituisce la sua quota organica. Essa si contrappone alla porzione minerale che invece deriva da qualcosa di non vivo (la roccia madre).

Torniamo ancora alla nostra Terra primordiale, la famosa landa desolata costituita da una monotona distesa rocciosa creata dal magma raffreddato. Come ci è arrivata la sostanza organica?

Siamo circa al 20 dicembre del nostro calendario cosmico, i primi esseri fotosintetizzanti hanno iniziato da più di un mese cosmico a riempire l’atmosfera con ingenti quantità di ossigeno e lo strato di ozono ora protegge la superficie del pianeta dai pericolosi raggi ultravioletti. Insomma, ci sono tutte le condizioni per consentire la fuoriuscita della vita dalle acque verso la terraferma.

I primi organismi che si svincolarono dall’acqua furono vegetali derivati dalle alghe verdi, che gradualmente svilupparono strutture simili a radici (per l’ancoraggio alla superficie), vasi linfatici (per il trasporto dell’acqua e della linfa) e organi adibiti alla riproduzione (per proteggere i gameti dalla disidratazione).

Ecco che la roccia priva di vita inizia a colorarsi con qualche primo ospite. Sono piccoli organismi come i licheni, una associazione simbionte tra un organismo eterotrofo (fungo) e uno autotrofo (di solito un cianobatterio o un’alga). Questi pionieri della vita sulla terraferma non solo partecipano alla disgregazione della roccia sia con processi fisici che chimici ma iniziano ad apportare qualcosa che fino ad ora non era mai arrivato fin qui: la sostanza organica.

Il concetto di organico potremo definirlo meglio nelle prossime lezioni ma oggi ci basterà sapere che è organico tutto ciò che deriva da qualcosa che è, o è stato, vivo. La sostanza organica nel terreno può avere origine animale o vegetale ed è distinta in

  1. una parte viva (un lombrico che scava, la radice di una pianta)
  2. morta ma non ancora decomposta (una foglia staccatasi da un albero, le deiezioni di un animale di passaggio).
  3. morta in via di decomposizione: gli organismi che si nutrono della sostanza organica la fanno “a pezzetti”; al banchetto partecipano organismi di diversa taglia, da macro a microscopica. Tutti hanno un ruolo.

C’è una quarta fase, la più pregiata, che è chiamata HUMUS, ed è il frutto della degradazione e rielaborazione della sostanza organica nella sua forma più attiva.

Anch’esso meriterà una trattazione a sé ma fidatevi se vi dico che senza di esso sarebbe estremamente difficile arrivare ad insediare una lussureggiante foresta sul nostro terreno in fase di formazione.

Torniamo alla nostra roccia che ospita i licheni. La poca sostanza organica portata da questi organismi ha permesso l’arrivo di vegetali un poco più complessi: dapprima i muschi, poi qualche rada pianta erbacea. Quando questi organismi muoiono i loro corpi cadono al suolo e si trasformano in humus, accrescendo la fertilità del terreno. Migliori condizioni di fertilità permettono a piante sempre più complesse ed esigenti di mettere radici. La sostanza organica nel terreno continua a crescere, anche grazie a foglie che cadono a terra, deiezioni e cadaveri di animali che trovano tra queste piante un ambiente idoneo alla vita. Nel corso del tempo laddove c’era solo qualche muschio e piccole erbette iniziano a comparire piccoli sterpi, poi arbusti di taglia ridotta, arbusti più alti, fino ai grandi alberi. Tutti questi organismi lasciano sul terreno a degradarsi delle immense quantità di sostanza organica, creando un terreno fertile e pieno di vita. Una volta, infatti, che le piante sono insediate, può partire tutta la catena alimentare, dagli erbivori fino ai grandi predatori.

 

Il viaggio temporale che abbiamo ripercorso e che è durato nella realtà per milioni e milioni di anni, si ripropone sovente ancora oggi. Chiaramente il tutto è accelerato dal fatto che la vita è già presente sulla terra ma per partire da una colata lavica raffreddata e approdare ad un bosco pieno di vita impiegheremmo comunque qualche centinaio di anni.

L’osservazione condotta dai biologi sulle colate vulcaniche di nuova formazione ha permesso di stabilire con un certo grado di accuratezza i tempi che scandiscono l’evolversi di una successione ecologica primaria.

Passano spesso 10 anni prima che arrivino i primi licheni a portare sostanza organica sulle rocce laviche e solo dopo 15-20 anni ciò ne rende possibile la colonizzazione da parte di alcune prime piante erbacee. Anche loro contribuiranno a depositare nuova sostanza organica, arricchendo il suolo e permettendo (mediamente dopo 20-50 anni dall’eruzione) l’arrivo di arbusti cespugliosi. Solo allora sarà la volta degli alberi maggiori fino ad una sorta di equilibrio nel quale questa ‘evoluzione ecologica’ trova un suo termine. Tale equilibrio, in ecologia, è definito climax.

I cambiamenti climatici che stanno interessando il nostro pianeta vanno purtroppo a disturbare ecosistemi in equilibrio causando un loro riadattamento (che richiederà probabilmente tempi millenari). Pensate alla scomparsa di interi tratti della barriera corallina a causa delle maggiori temperature dell’oceano. Oppure alla minaccia subita dagli ecosistemi artici, dove i ghiacci sono via via in arretramento. Anche la desertificazione che avanza distrugge gli equilibri ambientali trasformando completamente gli ecosistemi interessati. Ma questa è un’altra storia che magari racconteremo un giorno con più calma.

 

Conclusione

Abbiamo imparato che il terreno, un componente essenziale alla vita delle piante, è il frutto di una lenta trasformazione che coinvolge elementi minerali (la roccia che si disgrega in particelle minute) e organici (l’humus e la sostanza organica in genere, che apporta fertilità). C’è ancora tanto da dire ma le Georgiche University torna presto con nuove nozioni per tutti gli appassionati studenti del #clangeorgici.

Restate sintonizzati!

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