Spedizioni gratuite su tutti gli ordini superiori a 70€ 😍

Botanica e agronomia

Oggi sono in un posto molto importante della mia vita, legato proprio alle origini della mia famiglia, questa è la cascina Àaschina (Vaschina) e siamo nello stesso paesello della bassa bresciana nella quale si trova il vivaio, la località di Viadana bresciana, nel comune di Calvisano (BS).

Vite della cascina, una grande pianta che occupa tutto un pergolato
Vite della Vaschina

Quella alle mie spalle (la potete vedere meglio ne video qui sopra) è una vite di circa un secolo d’età, ed oggi insieme a lei, vi racconterò la storia travagliata della vite e di come l’uomo ha evitato che ad un certo punto della storia essa scomparisse completamente a causa della tanto temuta filossera della vite.

La vite in breve

La vite comune o vite euroasiatica (Vitis vinifera) è la specie del genere Vitis più coltivata nel mondo ed è presente praticamente in ogni continente. Ci sono diversi vitigni, cioè varietà, declinazioni della specie tipo che portano nomi come Chardonnay, Nebbiolo, Lambrusco. Alcuni sono più adatti alla vinificazione, cioè la trasformazione del succo d’uva in vino, attraverso la fermentazione alcolica. Altri sono più adatti per il consumo da tavola.

Probabilmente già alla fine del Neolitico, intorno al 3500 a.C. l’uomo si era accorto per caso che dell’uva lasciata in alcuni recipienti aveva fermentato. E così iniziò una storia millenaria tra l’uomo e la pianta, storia costellata di numerose testimonianze antiche, dai Sumeri agli Egizi.

I greci introdussero la vitivinicoltura in Europa, mentre Etruschi e Romani diedero grandi contributi alla tecnica di coltivazione.

Vitis vinifera non è l’unica ‘pianta dell’uva’ ma è sicuramente quella che ci dona un frutto adatto alla vinificazione.

Esistono però altre specie del genere Vitis, le cosiddette viti americane: come ad es V. riparia, V. ruperstris, V. berlandieri, V. aestivalis. Si tratta di piante coltivate fin da tempi antichi dalle popolazioni locali con lo scopo di produrre frutta per il consumo fresco. Di contro però, non offrono generalmente un frutto adatto alla vinificazione. Si tentò di importare la vite europea in America, ovviamente, ma le prime coltivazioni non ebbero un grande successo e poi capiremo anche il perché.

Quando è arrivata la fillossera in Italia?

Non tutti sanno però che, tra la fine dell’800 e l’inizio del 900, la vite che conosciamo rischiò di scomparire totalmente. Si stima che in questi decenni andarono distrutti tra il 65% e il 90% dei vigneti europei.

Grappolo d'uva verde su cui si vede la presenza di una polverina bianca, manifestazione dell'oidio
Oidio su una vite

Il diciannovesimo secolo fu un po’ sfortunato per la vite: due malattie funginee minacciarono seriamente le coltivazioni: la peronospora e l’oidio, tutt’ora la vite è sensibile a queste crittogame ma si è presto scoperto che trattamenti a base rame e zolfo erano particolarmente efficaci.

C’è però una terza piaga, ben più tosta, che negli stessi anni minacciava i vigneti e per risolverla servì uno sforzo ben più grande che una passata di verderame.

Fillossera della vite: un nemico invisibile

Siamo nel 1863 in Francia, in un villaggio della Linguadoca, una zona tra le più intensamente coltivata a vigneto. Le piante di vite presentano degli strani sintomi: le foglie ingialliscono, arrossano e cadono.

Il problema si estende alle vigne vicine e l’anno successivo le piante colpite risultano morte, così i contadini procedono all’espianto e, proprio come facciamo noi con le nostre piante, ispezionano l’apparato radicale che si presenta marcio, necrotizzato. Non c’è però alcuna traccia di parassiti.

Ci volle un po’ per capire che il problema era rappresentato da un insetto, in particolare un afide, che oggi conosciamo come fillossera della vite. Come i più comuni afidi o pidocchi delle piante che dobbiamo gestire sulle nostre ornamentali anche la fillossera è un fitofago, di circa 1 mm.

La fillossera, cos’è e come agisce

La Fillossera viene detta monofaga perché attacca specificatamente la vite, a differenza di altri parassiti polifagi che possono invece parassitizzare diversi generi di piante.

Ma che danni provoca la fillossera? Sono due le parti della pianta suscettibili all’attacco della fillossera: le radici e le foglie.

Piccole protuberanze sulle foglie di vita chiamate galle, causate dalle infestazioni di fillossera
Galle su una foglia di vite

Sulle foglie l’insetto provoca la formazione di escrescenze chiamate galle, prodotte dalla pianta in reazione alle punture della fillossera. Dentro queste galle vengono deposte centinaia di uova che alla schiusa liberano altrettanti individui.

Il ciclo biologico completo della fillossera è molto complesso e quindi sto semplificando al massimo.

La fillossera per nutrirsi ha un apparato boccale provvisto di rostro, una sorta di ago che può inserire nei tessuti della pianta per suggerne linfa e succhi cellulari. Alcuni individui nati dalle galle hanno un rostro più corto e proseguono la loro vita sulle foglie, altri hanno un apparato boccale più allungato e discendono il tronco della pianta per parassitizzarne le radici.

Le forme giovanili (chiamate neanidi) che arrivano sulle radici iniziano a sforacchiarle per nutrirsi e questo provoca deformazioni e lesioni, spesso associate anche alla comparsa di parassiti secondari come acari e malattie funginee. Lentamente le radici perdono la loro funzione di conduzione e deperiscono, di solito in 3 anni la pianta muore.

La fillossera è un insetto molto furbo, infatti i francesi non la trovarono subito perché prima che la pianta ospite muoia, gli individui di fillossera la abbandonano e si posizionano sulle radici della vittima successiva.

Da dove proviene la fillossera?

Infestazione di fillossera, gli insetti sono molto piccoli ma presenti in gran numero
Infestazione di fillossera

Come mai prima del 1863 nessuno aveva mai rilevato la presenza di questo parassita? In realtà qualcuno l’aveva già descritto, ma non in Europa, perché qui non c’era mai stata. Era stata descritta da un entomologo statunitense qualche anno prima, nel 1856.

Da subito venne avanzata l’ipotesi che la fillossera arrivasse dall’Almerica, importata insieme a qualche pianta di vite americana o attraverso le essenze che i naturalisti portavano da oltreoceano negli orti botanici europei.

Questa ipotesi, da sempre ritenuta valida, è stata poi supportata da una pubblicazione del 2020 sullo studio del genoma dell’insetto.

La soluzione contro la fillossera della vite

C’è una cosa particolare nell’infezione della fillossera sulle piante di vite di cui tenere conto. Abbiamo detto che i danni sono di due ordini: alle foglie e alle radici.

Ciò che va specificato è che le viti europee non sono interessate dai danni alle foglie, le quali non reagiscono alle punture della fillossera impedendo la formazione delle galle. Per cui nelle viti europee l’infezione e la popolazione del parassita sono localizzate essenzialmente a livello delle radici. Mancando la parte di ciclo biologico sulla foglia, d’altro canto, le infezioni radicali sulle viti europee sono molto più virulente e dannose.

Le specie americane, al contrario, sono suscettibili agli attacchi fogliari e reagiscono con la formazione di galle. Il danno in se è limitato perché avviene in un momento precoce della stagione vegetativa e ad un certo punto, dopo il momento dell’ovideposizione, le foglie che si producono sono sane.

Ma quello che è più interessante nelle viti americane è la resistenza genetica sviluppata nei confronti degli attacchi alle radici: la fillossera svolge comunque il ciclo radicale ma i suoi attacchi, pur provocando deformazioni sulle radici, non ne compromettono la vitalità e la capacità di condurre le linfe.

Insomma, per questo motivo ci vollero più di 30 anni per risolvere la situazione della fillossera ma la svolta fu comprendere questa sostanziale differenza tra le viti europee e quelle americane.

Fillossera, come combatterla

Bastò innestare i vitigni europei su un piede (come si dice in gergo) di vite americana. Cosa significa: significa prendere l’apparato radicale e una parte di fusto della vite americana, le cui radici abbiamo visto essere resistenti agli attacchi della fillossera, e inserirvi sopra le gemme del vitigno europeo che vogliamo coltivare.

Non entro nel dettaglio dell’innesto in generale o di quello della vite perché sono argomenti sviluppati in interi libri, ma dalla fine dell’800 in poi le piante di vite europea, con qualche eccezione che citerò in conclusione, sono tutte innestate su un portainnesto di viti americane e relativi ibridi.

Quando un viticoltore compra la pianta di vite da mettere a dimora nel vigneto acquista solitamente una barbatella cioè una piccola pianta a radice nuda innestata: la parte inferiore è quella di una vite americana, ma le gemme che partiranno sviluppando vegetazione e frutta saranno quelle del vitigno desiderato.

Ecco perché le prime viti europee portate negli stati uniti non davano grandi risultati, venivano attaccate dalla fillossera senza che nessuno avesse ancora identificato il problema.

L’innesto, che interessa ormai non solo la vite ma tantissimi fruttiferi e anche moltissime piante ornamentali, conferisce particolari caratteristiche alla pianta: ad esempio morfologiche (esistono, ad esempio, portainnesti nanizzanti) o di resistenza a particolari fattori ambientali (ad esempio al freddo)

Quello che importava ai viticoltori era che il portainnesto non alterasse le caratteristiche del frutto che è portato dal nesto o marza. E così, in effetti, fu.

Esistono, ad oggi, vigneti di viti europee che non sono state innestate su vite americana?

Sebbene la quasi totalità dei vigneti nel Mondo sia composto da viti innestate ci sono alcune curiose eccezioni, si parla in questo caso di viti su piede ‘franco’: i vigneti cileni, ad esempio, godono in qualche modo di un isolamento geografico tale per cui la fillossera lì non ci è mai arrivata. Anche nello Stato di Washington (USA) la fillossera non è mai stata presente e, in Australia, è presente solo in piccole zone molto circoscritte; poi Cipro, Santorini, un piccolo borgo medioevale in Spagna e una tenuta in Portogallo.

I vigneti senza fillossera in Italia

Anche in Italia ci sono alcuni vigneti mai interessati dalla fillossera: una tenuta a Montalcino che produce un vino chiamato ‘prefillossero’ da uve di Sangiovese provenienti da un vigneto impiantato a fine ottocento, alcuni in Valle d’Aosta e sull’Etna ed altri ancora in provincia di Ascoli Piceno e Ferrara.

 In generale sono immuni le colture impiantate su terreni molto sabbiosi perché la fillossera non trova una sufficiente continuità in questi substrati a grana grossolana per riuscire a spostarsi da un apparato radicale ad un altro. Allo stesso modo le sono sgraditi i terreni molto argillosi, pesanti, asfittici che però non sono congeniali nemmeno alla vite.

L’innesto è necessario per la fillossera della vite?

Ad oggi è opinione piuttosto condivisa tra gli esperti che senza la soluzione dell’innesto non avremmo un’industria vitivinicola nel mondo o per lo meno non come la conosciamo oggi.

Siamo invece tutti concordi nel dire che questo metodo è il più efficace e spendibile per immunizzare la vite europea dalla fillossera.

Ci vollero decenni per ricostruire i vigneti europei ma fu una grande vittoria e un primo insegnamento sulla pericolosità che accompagna il movimento delle piante e dei relativi parassiti in giro per il globo.

Fortunatamente in questo caso la terra d’origine del nemico, l’America, ci diede anche l’arma definitiva per sconfiggerlo. Una storia insomma con una trama degna di nota!

Condividi questo articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli correlati