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Piante da Interno


Leggi qua l’articolo aggiornato!

Questo mese cade il 50° anniversario dello sbarco sulla Luna.

Ma ci pensate? L’allunaggio. La prima volta che degli uomini misero piede su quel satellite che fino a quel giorno era stato visitato soltanto nei film.

Forse, al giorno d’oggi, sembra una cosa quasi normale spingersi verso mete fantascientifiche. Viviamo in un’era fatta di digitale, di realtà aumentata, come se non potessimo fare a meno di mettere una spolverata di magia su tutto ciò che facciamo. Però, tornando indietro con la mente di 50 anni, un’impresa simile deve aver avuto davvero dell’incredibile.

Noi che scriviamo gli articoli, non possiamo davvero sapere cosa significò ricevere una simile notizia, non avendo realmente vissuto quegli anni. Però è forse come pensare a qualcosa di talmente distante e lontano da far venire i brividi come, a cosa si potrebbe paragonare? Mmh, difficile.

Macchine volanti? Decisamente non abbastanza spettacolari.

La recente foto del buco nero? Emozionante, ma ancora non rende.

Insomma, Armstrong, Collins e Aldrin raggiunsero un punto mai toccato, ci andarono di persona, è qualcosa di diverso.

Non saprei, forse si potrebbe paragonare all’offerta di poter viaggiare fino ai confini dell’universo? Ok, forse questo è troppo. In fondo almeno la luna la si poteva vedere nel cielo.

Va bene, senza tirarla troppo per le lunghe, abbiamo appurato come sia difficile immaginare un evento simile per chi non lo ha potuto vivere in prima persona.

Perché vi stiamo parlando di questo? Domanda lecita dopo mezza pagina di chiacchiere.

Vi parliamo dell’allunaggio perché, un po’ come abbiamo fatto per l’anniversario di Leonardo da Vinci con la dendrocronologia e l’idroponica, vogliamo dedicare a questo evento un articolo inerente.

In particolare andremo a dare un’occhiata ad una cosa utile e ad una puramente curiosa.

Prima di poter riprendere a immaginare a nastro cose fantascientifiche, iniziamo subito in leggerezza: andiamo a scoprire la curiosità!

LA PRIMA PIANTA SULLA LUNA

Se l’Apollo 11, il 16 luglio 1969 lasciò la Terra permettendo, 4 giorni dopo, a Neil Armstrong di diventare il primo uomo a mettere piede sulla Luna; il 3 gennaio 2019 anche la sonda cinese Chang’e-4 ha effettuato l’allunaggio. Chang’e-4 però non portava al suo interno nessun essere umano, bensì semi di Cotone, Patate, Arabidopsis, Colza, crisalidi e lieviti.

Il sistema era stato ben pensato: le piante, una volta germogliate avrebbero cominciato a produrre ossigeno. Quell’ossigeno avrebbe permesso alle crisalidi di moscerino della frutta di schiudersi. Loro poi avrebbero potuto sopravvivere mangiando i lieviti e producendo, a loro volta, l’anidride carbonica che avrebbe permesso la fotosintesi clorofilliana alle piante.

Un vero e proprio ecosistema che aveva in sé tutte le potenzialità per poter diventare una pietra miliare del settore.

Stiamo parlando al passato, con un ipotetico che lascia intendere come l’esperimento non sia andato a buon fine. Infatti è così.

Non però senza una piccola vittoria portata a casa: i semi di cotone sono riusciti a germogliare!

Mentre le difficilissime condizioni offerte dalla Luna (alti livelli di radiazioni, bassa gravità, temperature estreme sia per il caldo che per il freddo) hanno impedito agli altri semi di venire alla luce, il cotone è riuscito nell’impresa.

HOUSTON, ABBIAMO FREDDO

Il cotone germogliato però non è mai riuscito a produrre l’ossigeno necessario per i moscerini.

La lunga notte della Luna farebbe felici tutti i membri di casa Stark, infatti dura ben 2 settimane! Circa 14 giorni durante i quali la temperatura arriva a -170°C, ed essendo così ardua ha piegato la volontà dei germogli, facendoli morire di freddo nel giro di 3 giorni.

Tutto era stato preventivato dagli scienziati e probabilmente questo sarà soltanto il primo di molti altri esperimenti che, man mano, diverranno sempre più calibrati e precisi.

Nulla toglie però a tutto il genere delle piante di cotone, di potersi fregiare di essere le prime piante ad aver germogliato sul nostro amato satellite.

PASSIAMO ALLE COSE UTILI

Siamo tutti assolutamente fieri delle prodezze –letteralmente- “spaziali” della pianta del cotone ma adesso arriviamo al secondo punto, quello che porterà un po’ del fascino suscitato dalla NASA, nelle nostre case.

Dai, ammettetelo, se qualcosa è targato “NASA” diventa immediatamente più autorevole e, al contempo, ammaliante. Ci si aspetta qualcosa che abbia varcato i confini del nostro normale campo d’azione e quindi portatore di qualcosa di speciale.

Però non è sempre così, la NASA non si occupa solo di cose lontane, infatti ha condotto un esperimento che ci riguarda molto da vicino.

LO STUDIO DELLA NASA

Vista la difficoltà dell’argomento prenderemo tutte le informazioni necessarie dai siti più autorevoli in materia, lasciando visibili le fonti in modo che possiate verificare e, in caso di dubbi, controllare i documenti originali. Cominciamo subito appellandoci direttamente ad uno dei siti ufficiali NASA.

In uno studio del 15 settembre 1989 i ricercatori della NASA hanno valutato foglie, radici, terreni e i microorganismi associati alle piante come possibili elementi in grado di ridurre l’inquinamento interno degli appartamenti e degli spazi chiusi.

PIANTE IN GRADO DI RIDURRE L’INQUINAMENTO INDOOR

Durante altri articoli abbiamo preso in esame questo argomento, uno ad esempio era quello sulle Tillandsie, ma, in effetti, di che inquinamento si parla? Cosa entra nelle nostre case rovinando l’aria che respiriamo?

Da questo studio è derivato un nuovo approccio all’utilizzo delle piante per rimuovere concentrazioni di alcuni elementi come il fumo delle sigarette e i solventi organici.

Sono state utilizzate piante in grado di svolgere un’azione filtrante. In questo modo, un po’ come per il principio della depurazione delle acque, grandi volumi di aria contaminata sono stati fatti passare attraverso i filtri, i quali sono stati poi in grado di assorbire le sostanze nocive.

Le radici delle piante e, se presenti, i microorganismi associati riescono poi a distruggere i virus patogeni, i batteri e i prodotti chimici organici, eventualmente convertendo tutti questi inquinanti dell’aria in nuovi tessuti della pianta. Anche l’eventuale radon (gas nobile e radioattivo generato dal decadimento alfa dell’uranio) può essere assorbito dalle radici delle piante venendo poi riconvertito in tessuto vegetale.

LE BASI DELLO STUDIO

Proviamo adesso a buttarci nella lettura del documento ufficiale prodotto dalla NASA, infondo questa è una ricerca più che autorevole ma senza riportare i dettagli rischierebbe di passare per una semplice opinione.

Vediamo cosa riusciamo a capire!

La NASA e l’ALCA, per portare eseguire questo studio hanno utilizzato le seguenti piante:

Oltre alle piante in elenco, anche altre sono state usate durante lo studio, fra le quali la famiglia dei Philodrendon. Queste piante sono state incluse in quanto facevano parte di un simile studio fatto precedentemente, perciò servivano per poter fare delle comparazioni fra i due metodi usati.

Passiamo adesso agli agenti chimici utilizzati per testare l’efficacia filtrante delle piante:

  • Benzene;
  • Formaldeide;
  • Tricloroetilene;

Sebbene altri agenti chimici si possano trovare piuttosto comunemente nell’aria degli appartamenti, questi 3 sono stati indicati come cancerogeni o teratogeni, per cui questo, e il fatto che possono essere trovati spesso nelle case, li ha resi perfetti soggetti di ricerca.

IL NUOVO METODO DI RICERCA

Il metodo utilizzato, rispetto ad un esperimento già fatto in precedenza, portava delle migliorie.

Ad esempio, nell’esperimento precedente la concentrazione degli elementi chimici era di 15 su 20 parti per milione. Sebbene quest’unità desse una buona indicazione su quali piante fossero adatte a rimuovere uno o più degli elementi chimici scelti, erano valori piuttosto lontani da quelli che comunemente possono essere trovati nei nostri ambienti. Perciò, poco dopo aver diffuso i risultati del primo esperimento, i ricercatori hanno cominciato ad investigare la rimozione di una concentrazione molto più bassa (meno di 1 parte per milione) degli agenti chimici presenti nell’aria.

L’equipaggiamento che avevano utilizzato fino a quel momento non era abbastanza sensibile per testare concentrazioni tanto basse, quindi fu sviluppato un metodo basato sul gas cromatografico, capace di esaminare il benzene e il tricloroetilene.

Invece la formaldeide non poteva essere determinata nello stesso modo, quindi è stato messo a punto un sistema ultra sensibile in modo da riuscire ad analizzare piccole quantità di questo composto chimico.

LE CAMERE IN PLEXIGLAS

Quello che non è cambiato dall’esperimento precedente è l’ambiente, infatti il test si è svolto nelle medesime camere di plexiglas. Per il benzene sono state utilizzate due camere di simile dimensione. La campionatura è stata fatta prelevando 200 mil di aria attraverso un tubo di vetro contenente degli agenti assorbenti e una specifica pompa manuale. I campioni sono poi stati prontamente analizzati utilizzando strumentazioni apposite (di cui vi, e ci, risparmiamo i nomi).

SONO LE FOGLIE AD ELIMINARE L’INQUINAMENTO?

Durante gli studi precedenti, gli unici controlli usati erano camere prive di piante per testare il naturale decadimento delle sostanze chimiche e vasi con del terriccio ma senza piante (in modo da poter testare la capacità di assorbimento del terreno). Si presumeva che le sostanze chimiche rimosse dalle camere sigillate fossero quindi assorbite dal terreno o, altrimenti, dalle foglie della pianta.

Qualcosa però non andava, di conseguenza, durante questo nuovo studio vennero integrate due importantissime varianti: la defogliazione delle piante e l’utilizzo della ghiaia fine per coprire il terriccio. Questi grandi cambiamenti furono fatti per inquadrare con efficacia la determinazione dell’esatto meccanismo coinvolto nella rimozione degli agenti chimici.

Con loro sorpresa, trovarono che il benzene era stato significativamente rimosso dal terreno contenente le radici delle piante. Così cominciarono ad effettuare test con questa variante anche in tutti gli altri esperimenti relazionati. Piante adulte con il fogliame furono testate per un periodo di 24h o più, facendo seguire gli stessi test alle medesime piante ma tagliando le foglie, lasciando solo un piccola protuberanza di qualche centimetro sopra al livello del terriccio.

Per determinare se il vapore acqueo fosse importante, alcuni dei vasi furono saturati di acqua prima di condurre i test. L’acqua però non si è dimostrata essere un elemento davvero importante in questa missione.

RISULTATI

È stato rilevato che la riduzione del benzene e della formaldeide era significativa. L’osservazione più interessante è stata che la rimozione del benzene da parte delle piante senza foglie è maggiore di quella con le foglie.

Questo fa pensare che le radici delle piante e i microorganismi siano i principali attori nella rimozione degli agenti chimici. Il fenomeno non può essere totalmente spiegato dal documento da cui abbiamo preso tutte queste informazioni, in quanto sono stati poi fatti altri studi –in campi paralleli- per cercare di capire il motivo di questa cosa.

Quindi i risultati indicano chiaramente che le piante giocano un ruolo importante nella rimozione degli agenti chimici organici dall’aria delle zone interne. Gli esperimenti fatti confermano che il sistema delle piante, e non il terreno in sé, è responsabile per la maggior parte della rimozione degli inquinanti. Come è già stato detto grande merito va alle radici e ai microorganismi.

SFATIAMO UN MITO

Perfetto, abbiamo capito l’importante studio della NASA, davvero interessante (nonostante il leggero mal di testa che può comportare) e sicuramente non ci si può permettere di mettere in dubbio ciò che dice.

Però è necessario specificare una cosa importante: non hanno mai detto che le piante da loro testate siano le migliori per rimuovere gli agenti chimici. Le piante che hanno utilizzato per gli esperimenti sono delle piante molto comuni negli appartamenti e sono state perciò prese in esame per condurre i test. Senza dire “solo queste svolgono un’azione depurante” o “sono sicuramente quelle che adempiono meglio al compito”. Ad esempio sappiamo che le Tillandsie sono davvero utili in questo campo, la loro azione è stata testata durante degli studi specifici, eppure non rientrano fra l’elenco delle piante utilizzate dalla NASA.

I MAGGIORI AGENTI CHIMICI PRESENTI NELLE CASE

Fa un po’ strano pensare di avere in casa degli agenti chimici inquinanti, eppure è così.

Non pensate che tenendo le finestre chiuse se ne rimangano fuori, non sono degli ospiti indesiderati, o meglio, lo sono, ma non sono i classici ospiti indesiderati con i quali si può far finta di non essere in casa per non aprire e lasciarli fuori.

Gli agenti inquinanti non solo entrano, ma spesso siamo noi a portarli dentro mediante alcuni oggetti o prodotti.

Andiamo a vedere le sostanze chimiche dannose più presenti e come queste riescono ad entrare nelle nostre case:

  • TRICLOROETILENE: inchiostro della stampante, pitture, lacche, vernici, adesivi e prodotti per rimuovere la vernice.
  • FORMALDEIDE: borse di carta, carta cerata, tovaglioli di carta, pannelli di compensato, tessuti sintetici.
  • BENZENE: usato per fare plastica, resina, fibre sintetiche, coloranti, detergenti, farmaci e pesticidi. Può essere trovato anche nel tabacco da fumare, negli scarichi dei veicoli, nella colla, nelle vernici e nella cera per mobili.
  • XILENE: stampe, gomme, pelletteria, vernici, tabacco da fumare e scarichi dei veicoli.
  • AMMONIACA: trovato nei detergenti per vetri, cere per pavimenti, sali profumati e fertilizzanti.

Niente panico, non partite col piede di guerra per eliminare tutte queste cose dalle vostre case. Certo possono contenere gli inquinanti ma non vi causeranno istantaneamente malattie terribili. Avete quindi tutto il tempo per cercare di contrastarne gli effetti, magari proprio con un buon sistema di areazione e delle piante!

PASSIAMO AI FATTI!

Bene, detto e chiarito tutto (o almeno speriamo di averlo fatto), parliamo nel concreto di alcune piante d’appartamento utili a migliorare l’ambiente dove viviamo!

  • Chamaedorea elegans: pianta d’appartamento originaria del Messico, caratterizzata da fusti sottili che ricordano le classiche palme, le foglie lanceolate sono di lunghezza variabile.
  • Aglaonema: pianta d’appartamento originaria delle foreste pluviali dell’Asia orientale, molto decorativa per la bellezza delle foglie a forma di lancia stretta. Il colore varia dal verde al rosso a seconda della varierà. Produce infiorescenze simili a quelle della Calla.
  • Hedera helix: sempreverde dal portamento rampicante di medie dimensioni. Adatta ad essere coltivata in vasi sospesi o posti su mensole, per dar modo ai suoi rami di crescere liberi.
  • Dracaena: possiede foglie strette ed arcuate che ricadono verso il basso, di colore variabile.
  • Sanseveria”Laurentii”: pianta esotica originaria dell’Africa ed Asia tropicali, conosciuta comunemente come “lingua di suocera”. Pianta sempreverde dalle lunghe foglie erette, lucenti e carnose, variegata con strisce giallo intenso lungo i margini.
  • Spathyphyllum: è tra le piante d’appartamento più popolari per le sue lunghe foglie color verde scuro lucido, leggermente arcuate e appuntite e per i suoi bellissimi fiori bianchi.
  • Ficus benjamina: molto apprezzata per la facilità di coltivazione, vive bene in ambienti molto luminosi, ma non a contatto diretto dei raggi solari.
  • Chlorophytum comosum: l’abbiamo già vista fra le piante pet-friendly, il Chlorophytum comosum presenta un fogliame basale disposto a rosetta, dai colori variabili. In estate produce fiorellini di colore bianco-verdastro riuniti in infiorescenze portate da lunghi steli carnosi.
  • Epipremnum aureum: pianta sempreverde rampicante. Presenta foglie ovali di colore verde lucido, variegate di giallo e radici aeree con la quale si arrampica sulla pianta ospite.

Ecco alcune delle piante che potete ospitare a casa vostra per rendere l’aria migliore!

In conclusione, il primo uomo sulla luna non può sicuramente essere considerato un ricordo lontano, ma, a ben pensarci sembra passato davvero tanto tempo.

Il progresso scientifico continua a muoversi facendo passi da gigante e portando significativi miglioramenti alla vita di tutti i giorni. L’ambiente però merita davvero un occhio di riguardo, oggi molto più di ieri. Questa è un’occasione buona per adornare le nostre case, migliorare l’aria che respiriamo e dare una mano al Pianeta.

In onore del primo uomo sulla Luna, facciamo tutti in modo che i prossimi viaggiatori spaziali possano ancora vedere une bella Terra rigogliosa e sana. Certo che i miracoli non li possiamo fare da soli, ma come si suol dire “goccia dopo goccia nasce il mare”!

Ehy, sì, dico a te che hai appena finito di leggere l’articolo sopra.

Ssssh non farti sentire, e avvicinati. Vuoi ancora un po’ di mal di testa? È a fin di bene, s’intende!

Hai letto tutto e la tua curiosità ESIGE di sapere com’è stato portato avanti l’esperimento della NASA? Tranquillo, abbiamo tradotto anche quel pezzo dal documento ufficiale.

L’abbiamo nascosto qui sotto ed è pronto per essere letto.

COME VENNE CONDOTTO L’ESPERIMENTO?

A causa dei recenti risultati, i ricercatori cominciarono a sospettare che le foglie non fossero le sole responsabili della rimozione degli inquinanti dall’aria, di conseguenza misero a punto un modus operandi che gli permettesse di verificare tutto ciò che gli interessava sapere.

  1. Per entrambi i test, venivano usate due piante in salute della medesima specie. Una in ognuna delle due camere di plexiglass.
  2. Le camere vennero sigillate e una mistura di benzene e tricloroetilene fu inserita al loro interno.
  3. Dopo un breve periodo di riequilibrio ambientale, permettendo una completa volatilizzazione e circolazione degli agenti chimici all’interno delle camere, due campioni uguali venivano inseriti in ognuna delle camere. Questi campioni furono analizzati senza ritardi con il gas cromatografico.
  4. Le piante venivano lasciate durante la notte nelle camere sigillate. In alcuni casi è stato prelevato un campione dentro da 4 o 6 ore dopo l’inserimento delle sostanze chimiche. Però, in molti casi, è stato preso in considerazione solo il campione finale, prelevato approssimativamente da 21 a 22 ore dopo l’esposizione agli inquinanti. Come il campione finale anche le repliche sono state estratte da ciascuna camera e analizzate.
  5. Alla fine delle 24 ore sotto test, le camere venivano aperte e le piante rimosse. Tutte le foglie vennero tagliate via, lasciando solo una protuberanza di qualche centimetro.
  6. Le camere rimanevano aperte circa un’ora, durante la quale una buona quantità d’aria veniva fatta circolare, in modo da eliminare ogni traccia organica prima della nuova chiusura.
  7. Le piante senza foglie venivano rimesse nelle camere, che poi vennero nuovamente sigillate.
  8. I valori delle piante con e senza foglie furono poi prelevati e comparati.

Questo era più o meno il protocollo generale seguito, anche se naturalmente vi furono delle varianti. In tutti i test, però, due esemplari della stessa specie sono stati testati e poi testati nuovamente dopo aver rimosso completamente il fogliame. In molte prove, le due piante sono state testate per 2 o 3 giorni con le foglie, seguendo un periodo simile con il vaso ricoperto di ghiaia fine. I test furono poi condotti con i vasi non coperti dopo aver rimosso le foglie.

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