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Botanica e agronomia


Oggi si torna a dare un’occhiata all’esterno per continuare l’argomento che abbiamo trattato nella scorsa puntata de le Geo Uni, ve lo ricordate? Se la risposta è “no” mi raccomando, rimediate subito!

Qualche settimana fa avevamo spiegato come mai in autunno i colori delle foglie cambiano virando verso il giallo, il rosso e tante altre tonalità così caratteristiche di questa stagione. Adesso però, come vi avevo promesso, andiamo a capire il punto seguente: perché le foglie, dopo aver cambiato colore, cadono?

 

Abscissione delle foglie

Calmi, non vogliamo sfoderare paroloni altisonanti, ma “abscissione delle foglie” è il termine tecnico che indica proprio la semplice caduta delle foglie dal ramo di un albero. È un fenomeno che riguarda un gruppo molto ampio di piante, le quali vengono definite “caducifoglie” o “piante a foglia caduca”.

In questo modo si va a sottolineare la distinzione con le piante sempreverdi che non vanno mai incontro a periodi in cui si trovano completamente private del fogliame. Anche le sempreverdi rinnovano le loro foglie, ma lo fanno in modo continuo e parallelo all’emissione di nuove foglie. Quindi un Abete potrebbe sembrarvi bello verde con gli stessi aghi, ma in realtà se guardate alla base del tronco potrete vedere che molti riposano sul suolo, questo appunto perché c’è un continuo movimento che alterna le vecchie alle nuove foglie.

Le piante caducifoglie sono concentrate nelle zone temperate del nostro pianeta, mentre nelle fasce tropicali troviamo delle piante che hanno un portamento sempreverde, questo perché in quella parte del globo le ore di luce sono sempre le stesse, rimanendo pressoché invariate durante tutto l’anno.

Nelle zone polari troviamo ancora le sempreverdi, specialmente Conifere che prosperano laddove il clima glielo consente. Sicuramente in queste latitudini non è la luce abbondante a permettere loro di rimanere sempre adornate di foglie, bensì dei piccoli stratagemmi che vedremo più avanti.

 

Perché le piante perdono le foglie?

Come abbiamo visto nella scorsa lezione de le Georgiche University, durante l’autunno le ore di luce calano, la clorofilla smette di essere prodotta e quella che è presente all’interno delle foglie si degrada e questo pigmento quindi scompare a beneficio di altri. Ci sono ulteriori meccanismi che con l’accorciarsi delle giornate e l’arrivo di temperature via via sempre più fredde, si innescano all’interno della pianta.

Per la pianta mantenere la chioma durante l’inverno è un investimento abbastanza rischioso, ovviamente i tessuti delle foglie, dopo aver lavorato dalla primavera fino all’autunno, sono usurati e andrebbero comunque cambiati, questo è un processo che si chiama senescenza, invecchiamento.

Le piante inoltre, per dotazione evolutiva, cercano di diminuire al massimo la superficie esposta alle avversità della stagione fredda, quindi cercano di eliminare più elementi non necessari possibile per non doversi portare un eccessivo fardello durante i mesi del gelo. Gelo che potrebbe andare a danneggiare le lamine fogliari, facendo addirittura esplodere le celle di questi tessuti. Ed è per questo che prima vi dicevo che la maggior parte delle Conifere, delle aghifoglie, ha trasformato queste foglie in sottili aghi molto coriacei e, al contempo, poco onerosi da mantenere durante la stagione fredda proprio per via della loro superficie ridotta. Non da ultimo, mantenere una grande chioma, per la pianta, potrebbe voler dire offrire alla neve una superficie ulteriore su cui potersi accumulare e questo porterebbe a gravare sulla struttura della pianta con la conseguente probabilità di fratture sulle parti legnose.

 

Lo stratagemma evolutivo

Tutto questo per far capire perché le piante caducifoglie, durante il loro corso evolutivo, si sono organizzate decidendo che in inverno affronteranno una dormienza, una sorta di letargo in cui riducono le loro funzioni, sopravvivendo utilizzando le energie accumulate come riserve. Ecco che quindi, quando l’inverno si fa sentire, le piante iniziano a richiamare le sostanze ancora riutilizzabili (sostanze nutritive, soprattutto carboidrati) che ci sono all’interno della lamina fogliare, queste sostanze vengono appunto richiamate all’interno dei fusti, passando attraverso il picciolo, escono dalla lamina entrando all’interno della pianta e vengono accumulati al livello di tessuti di riserva che possono essere nel legno dei rami, nelle gemme e nelle radici.

Una volta che è stato possibile riassorbire tutta l’energia che si poteva prendere da queste foglie ormai prive di ogni funzione, interviene l’ormone Auxina che permette alla pianta di iniziare a formare una cicatrice fra il tronco e la superficie della foglia. La cicatrice, formata con le suberine, è una sorta di cicatrice suberificata che funge come la chiusura di un boccaporto, isolando completamente la superficie della pianta dalla foglia, che a sua volta non può far altro che cadere a terra.

La cicatrice suberificata offre inoltre una barriera all’ingresso di eventuali patogeni all’interno della pianta. Quindi la cosa più sbagliata che possiamo andare a fare è potare le piante prima che abbiano perso completamente le foglie, perché andremmo ad interrompere quel processo di riassorbimento delle sostanze nutritive che serviranno poi alla pianta per svernare e ripartire in quinta una volta giunta la primavera.

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