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Botanica e agronomia

La seconda metà del XX secolo ha assistito a un notevole progresso nell’agricoltura grazie alla Rivoluzione Verde, caratterizzata dall’introduzione di nuove varietà di piante ad alto rendimento e dall’ampio ricorso a fertilizzanti e pesticidi di natura chimica.
A causa di tutto ciò, purtroppo, stiamo assistendo ad una graduale degradazione dei terreni destinati alla coltivazione, insieme a una marcata diminuzione della varietà biologica.

La sfida che ci troviamo ad affrontare consiste nel promuovere un’agricoltura sostenibile, che possa aprire sempre di più ad un bilancio ottimale fra produttività ed ecologia responsabile.

Suolo naturale vs terriccio

Interfaccia di connessione fra le ife e le radici

Quando si coltivano le piante, soprattutto in vaso, si è soliti utilizzare dei substrati pronti che, se di buona qualità, garantiscono una struttura ideale allo sviluppo delle radici.

È comunque sempre un’approssimazione di un suolo naturale. Gli ingredienti principali sono torbe, fibra e midollo di cocco, fibra di legno, compost, inerti minerali come pomici, lapillo vulcanico, perlite o argilla espansa, a seconda della formulazione e del destino d’uso.

Le componenti carenti, non solo nei terricci ma anche nei terreni “gestiti” come quello del giardino, sono reintegrate attraverso la somministrazione di altri prodotti.

  1. i concimi minerali apportano gli elementi nutritivi come n p k e microelementi;
  2. quelli organici (tra i quali quelli che chiamiamo biostimolanti) incrementano composti come acidi umici, fulvici, aminoacidi ed elementi in forma organica, principalmente N e C.

Vi sono molte differenze tra minerale ed organico, ma ne abbiamo parlato meglio in questo articolo!

Questo perché i terricci non sono fertilizzanti e quindi non forniscono nutrimento alle piante ma forniscono:

  • un ambiente fisicamente consono allo sviluppo delle radici;
  • la giusta aerazione;
  • un corretto drenaggio;
  • la capacità di trattenere e rendere disponibili i nutrienti che forniremo alle piante, evitando che scivolino via con l’acqua di bagnatura.

C’è però una terza componente che è possibile integrare nel terreno in modo da farlo assomigliare sempre di più a quello ottimo di un bosco montano ed è la parte viva.

Umificazione e mineralizzazione del terreno

Lombrico nel terreno

Il terreno pullula di organismi estremamente importanti, spesso macroscopici (lombrichi, artropodi, ecc.) ma anche microrganismi non percettibili ad occhio nudo. Tutti lavorano, in fasi differenti, alla fertilità del terreno, modificandone in termini migliorativi sia la struttura fisica (basti pensare al lavoro di arieggiamento che fanno i lombrichi) sia le caratteristiche fisico chimiche.

In natura nessuno lavora gratis e tutte queste azioni intraprese nascondono un interesse da parte degli organismi coinvolti. Il più delle volte essi si cibano della sostanza organica morta presente nel terreno (foglie secche, rami caduti, corpi e deiezioni animali, ecc.) e come prodotto di scarto la restituiscono al terreno in una forma via vai più raffinata, fino alla sua umificazione e mineralizzazione. Questo processo consente alla sostanza organica di trasformarsi in composti assimilabili dalle piante.

Ci sono tre “gruppi” di microrganismi che fra gli altri meritano un’attenzione particolare per il ruolo che hanno nel miglioramento della fertilità del terreno, nella difesa e nello sviluppo di apparati radicali sani e performanti. Vediamoli subito:

1. Le Micorrize, cosa sono e come utilizzarle?

Differenti tipi di micorriza

Le micorrize sono dei funghi che vivono in simbiosi con le radici praticamente di tutte le piante. Nella maggior parte dei casi questa simbiosi è un’associazione di mutuo vantaggio: sia il fungo che la pianta interessati traggono giovamento dall’interazione.

Sono davvero fenomeni tutt’altro che rari, anzi come detto in precedenza, negli ambienti naturali il 90% degli alberi che crescono nelle foreste temperate partecipano a questa associazione.

Come possiamo immaginare le micorrize?

Ife fungine

Anzitutto non è detto che il fungo coinvolto esprima necessariamente un corpo fruttifero macroscopico come siamo abituati a vederne nei boschi. Ma ottimi esempi di simbiosi micorriziche sono quelli tra i castagni e i porcini o tra le querce e i tartufi.

Ma il vero fungo è una complessa rete di sottili filamenti, chiamate ife, che nel complesso formano una grande ragnatela sotterranea: il micelio.

Nella simbiosi in esame le ife del micelio si “connettono” alle radici delle piante, come fossero una sorta di extensions dell’apparato radicale.

Quali sono i reciproci benefici che pianta e fungo ottengono da questa connessione?

Interfaccia micorriza

I vantaggi più evidenti sono di tipo nutrizionale: la pianta sa fare una cosa che il fungo non è in grado di fare: la fotosintesi. Attraverso la fotosintesi la pianta prende il carbonio all’atmosfera assorbendo da essa la CO2.

Il carbonio viene usato per produrre molecole di zucchero che la pianta usa come riserva energetica e materiale da costruzione ma è ben contenta di cedere una parte di questo carbonio organico al fungo in cambio di altro.

Il fungo è molto interessato al carbonio perché questo elemento è il costituente cardine di ogni essere vivente e lo traferisce a tutti i suoi organi in via di sviluppo.

Processo di fotosintesi

Dal canto suo il fungo è molto bravo a smontare la sostanza organica del terreno in mattoncini più piccoli, assimilabili dalla pianta: composti organici ridotti, aminoacidi e proteine ma soprattutto elementi minerali che è in grado di captare dal terreno imprigionandoli e trasferendoli alla pianta.

È evidente che i benefici sono più ampi, basti pensare in generale al fatto che attraverso le micorrize la pianta ha accesso a volumi di suolo centinaia di volte superiori:

  • più acqua disponibile e quindi maggiore resistenza allo stress idrico;
  • protezione da funghi parassiti e nematodi;
  • trasferimento di nutrienti da piante morte a vive.

Come possiamo integrare le micorrize nel terreno?

Micorrize in simbiosi con le piante

Ci sono dei prodotti che contengono gli inoculi, i quali sono come una forma dormiente del fungo che si attiva non appena viene distribuita sul terreno e bagnata.

Micover WP è il prodotto migliore che ho provato, non è detto quindi che in futuro possa essere un altro ma da 7 anni a questa parte vince lui.

Come si usa: molto semplice, fondamentalmente si discioglie in acqua e si somministra con la bagnatura, seguendo le informazioni che si possono trovare sulla scatola.

Nel Micover è stato inserito qualche altro essere vivente estremamente importante. Tenendo conto che queste cose sono sdoganate da decenni nell’agricoltura professionale, quindi la loro efficacia non è più oggetto di discussione da tempo.

Con l’applicazione del preparato in esame si va infatti ad incorporare nel terreno, oltre alle micorrize, anche due altri microrganismi in grado di generare vantaggi per le piante:

Micover wp

2. Il trichoderma

Il trichoderma è un genere di funghi microscopici, che si sviluppano nel terreno attorno agli apparati radicali delle piante una volta somministrati. Questo comporta notevoli effetti:

  1. antagonismo ai funghi parassiti (attività già nota in trichoderma dagli anni 20 dello scorso secolo). Tricoderma fa crescere il proprio micelio verso il fungo patogeno, lo raggiunge, lo avvolge e con particolari ife dette appressori penetra le pareti cellulari del bersaglio, sciogliendole grazie anche alla secrezione di enzimi e ne digerisce il contenuto determinandone ovviamente la morte. Come fa? chemiotropismo;
  2. biocontrollo chiamato antibiosi: tricoderma come altri funghi rilascia nel terreno delle sostanze che inibiscono l’attività di batteri e funghi patogeni;
  3. competizione in termini di spazio e nutrienti perché laddove si è diffuso tricoderma non ci sarà spazio per i funghi patogeni;
  4. induzione di resistenza: tricoderma è in grado di ingannare la pianta, fingendosi un parassita a livello di metaboliti diffusi nel terreno, così stimola le difese naturali della pianta.

È importante sottolineare che essendo dei funghi saprofiti e non parassiti mangiano sostanza organica -> + sostanza organica = migliore sviluppo.

Se ve lo state chiedendo, questo prodotto è ciò che arricchisce il terriccio One plus dove vi è del dermatozoo in miscela, un concime organico che aiuta lo sviluppo di tricoderma.

3. I rizobatteri

Rizobatteri

In One plus come in Micover c’è un terzo protagonista che è un collettivo in realtà, sono i rizobatteri.

I rizobatteri sono una categoria speciale di batteri che si trovano nella rizosfera del suolo, e svolgono un ruolo di grande importanza nel mantenimento della fertilità del terreno e nell’induzione di effetti biostimolanti. Essi rivestono una funzione cruciale nell’approvvigionamento di sostanze nutritive alle piante, facilitando la loro crescita e fornendo difese essenziali contro eventuali patologie. Come le micorrize, anche i rizobatteri stabiliscono una relazione mutualistica con le piante.

Il loro impatto sul suolo può essere categorizzato come diretto o indiretto.

Il funzionamento diretto si riferisce principalmente all’apporto nutritivo alle piante. In pratica, i rizobatteri agiscono sui nutrienti del terreno (come ferro, potassio, azoto e fosforo) che si trovano in forme non assimilabili dalle piante, trasformandoli in forme solubili. Questi processi diretti comprendono la cattura di azoto dall’ambiente circostante, la solubilizzazione del fosforo per l’assorbimento, la produzione di ormoni vegetali come auxine, citochinine e gibberelline, e la sintesi di siderofori.

Microrganismi del suolo

Dal punto di vista indiretto, i batteri della rizosfera agiscono come agenti di controllo biologico contro le malattie attraverso vari meccanismi e sono antagonisti dei batteri parassiti che attaccano il sistema radicale. Inoltre, i loro metaboliti forniscono un controllo naturale contro altri funghi patogeni.

L’utilizzo di batteri della rizosfera che promuovono la crescita delle piante come biostimolanti potrebbe nel tempo rappresentare una valida alternativa all’uso di fertilizzanti chimici.

Un terreno adeguato favorisce una gestione ottimale delle interazioni tra radici e suolo, così come tra semi e suolo, il che è cruciale per il controllo dei microrganismi, la stimolazione della crescita delle piante e la riduzione dell’impatto ambientale dell’agricoltura e della produzione vegetale. Tra i benefici unici di questa complessa dinamica, si osserva l’uso vantaggioso di microrganismi promotori della crescita delle piante e capaci di sopprimere malattie ed erbacce, svolgendo quindi una forma di biocontrollo.

È affascinante notare come in agricoltura si applichino questi batteri benefici direttamente ai semi, rivestendoli prima del processo di semina. Questo processo aumenta significativamente le probabilità che i semi possano ospitare popolazioni consistenti di rizobatteri nella rizosfera, con conseguenti impatti positivi rilevanti sulla coltivazione.

In effetti, questi microrganismi batterici sembrano costituire la componente dominante della rizosfera, nonostante occupino uno spazio minore rispetto ad altri elementi.

Tuttavia, la relazione tra i rizobatteri e le piante non è una strada a senso unico: in cambio dei nutrienti forniti dai rizobatteri, le piante devono offrire un ambiente adatto e le condizioni necessarie per la loro sopravvivenza. Potrebbe sembrare un dettaglio trascurabile, ma va tenuto presente che la creazione e il mantenimento dei noduli radicali possono richiedere alla pianta un considerevole dispendio energetico, che può variare tra il 12% e il 25% della produzione totale di fotosintesi.

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